Molto rumore per nulla - William Shakespeare pt2

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Squall.Leonhart
view post Posted on 26/7/2010, 21:45




continuo...

SCENA QUARTA - L'appartamento di Ero

(Entrano ERO, MARGHERITA e ORSOLA)


ERO: Orsola, sveglia mia cugina Beatrice e pregala di alzarsi.

ORSOLA: Subito, signora.

ERO: E pregala di venir qui.

ORSOLA: Benissimo.



(Esce)


MARGHERITA: Davvero mi pareva che l'altra goletta vi stesse meglio.

ERO: No, lasciami fare, buona Ghita, porterò questa.

MARGHERITA: In fede mia non è così bella, vi garantisco che lo dirà anche vostra cugina.

ERO: Mia cugina è una sciocca e tu un'altra: io non voglio mettermi che questa.

MARGHERITA: Mi piacerebbe moltissimo quella nuova acconciatura, là dentro, se i capelli fossero un'idea più scuri, e la vostra veste poi è di foggia rarissima davvero. Ho visto quella della duchessa di Milano che è tanto lodata.

ERO: Oh, quella è meravigliosa, dicono.

MARGHERITA: Oh, non è che una veste da camera in confronto alla vostra: teletta d'oro, con trinci, e guarnita d'argento, con le maniche, le soprammaniche e la gonna tutte ornate di perle sostenute giro giro da liste di tòcca azzurra; ma per grazia, bellezza e novità di foggia la vostra vale la sua dieci volte.

ERO: Oh Dio, datemi la gioia di portarla! perché ho il cuore oltremodo oppresso.

MARGHERITA: Fra poco lo sarà di più, con il peso di un uomo.

ERO: Che dici! Ma non ti vergogni?

MARGHERITA: Di che cosa, signora? di parlare onoratamente? Ma il matrimonio non è onorato anche in un mendicante? E il vostro sposo non è onorato anche senza matrimonio? Penso che voi volevate che dicessi:

"di un marito, con buon rispetto parlando", ma se un pensiero cattivo non distorce un discorso sincero, io non faccio offesa a nessuno: c'è niente di male in "più peso per via del marito"? No, credo, se il marito è quello della moglie e viceversa: altrimenti è leggero e non pesante... domandatelo a madonna Beatrice che viene.



(Entra BEATRICE)


ERO: Buon giorno, cugina.

BEATRICE: Buon giorno, mia diletta Ero.

ERO: Come, come... perché quel tono così afflitto?

BEATRICE: Io son fuori di ogni altro tono, mi pare...

MARGHERITA: Allora attaccate "Amor leggero" che non ha bisogno di bordone: voi lo cantate e io lo ballo.

BEATRICE: Sì, voi siete leggera a muover le gambe! Sicché, se vostro marito ha piantagioni, voi farete in modo che non gli manchino rampolli.

MARGHERITA: O che illazione illegittima! Io me la prendo di sotto gamba!

BEATRICE: Sono quasi le cinque, cugina, sarebbe tempo che voi foste pronta... Davvero sto proprio male! Oh, oh!

MARGHERITA: Per un vestito, per un candito, o per un marito?

BEATRICE: Per il mio cuore che, come quelle tre cose, è "ito".

MARGHERITA: Ecco, se non è vero che vi siete fatta turca voi, non si potrà più navigare nemmeno con la stella polare.

BEATRICE: Che vuol dire quella pazzerella?

MARGHERITA: Nulla, ma che Dio esaudisca a ciascuna il desiderio del suo cuore.

ERO: Questi guanti che mi ha mandato il conte hanno un eccellente profumo.

BEATRICE: Ho il naso tappato, cugina, non sento gli odori.

MARGHERITA: Vergine, e tappata! E' un bell'infreddare codesto!


BEATRICE: O Dio aiutami! Da quando in qua fate dello spirito?

MARGHERITA: Da quando avete smesso voi: ché il mio spirito non mi sta bene?

BEATRICE: Non si vede abbastanza, ve lo dovreste mettere sul cappello.

Davvero mi sento male.

MARGHERITA: Prendete dell'essenza di cardo benedetto e mettetevela sul cuore, è quello che ci vuole per la nausea.

ERO: Così la punzecchi, con quel cardo.

BEATRICE: Benedetto, perché Benedetto? c'è un senso recondito in questo Benedetto!

MARGHERITA: Senso recondito! no, in fede mia, non c'è senso recondito:

volevo dire solamente il cardo santo. Voi potete anche credere che io creda che voi siate innamorata: no, Santa Vergine, non son così sciocca da credere quello che desidero, né desidero di credere tutto quello che posso, né invero potrei credere, quand'anche volessi esaurire tutta la credulità del mio cuore a forza di voler credere, che voi siete o sarete o potete essere innamorata. Tuttavia anche Benedetto era un altro di questi e ora è un uomo come tutti gli altri:

giurava di non volersi sposare mai e ora, a dispetto del suo cuore, mangia la sua zuppa senza brontolare. Come voi possiate essere convertita non so, ma mi pare che guardiate coi vostri occhi come le altre donne.

BEATRICE: Ma di che passo va la tua lingua?

MARGHERITA: Non con un falso galoppo.



(Rientra ORSOLA)


ORSOLA: Vogliate ritirarvi, signora: il principe, il conte, il signor Benedetto, Don Giovanni e tutti i cavalieri della città vengono a prendervi per accompagnarvi in chiesa.

ERO: Aiutatemi a vestirmi, brava cugina, brava Ghita, brava Orsola, aiutatemi.



(Escono)






SCENA QUINTA - Un'altra stanza in casa di Lionato

(Entra LIONATO con SANGUINELLO e AGRESTO)


LIONATO: Che volete da me, onesto vicino?

SANGUINELLO: Diamine, messere, vorrei mettervi a parte d'una cosa che vi decerne da vicino.

LIONATO: Siate breve, per favore: voi vedete che il tempo mi manca.

SANGUINELLO: Diamine, lo vedo, messere.

AGRESTO: E' così, infatti, messere.

LIONATO: Dunque, amici miei?

SANGUINELLO: L'ottimo Agresto, messere, va un po' fuor d'argomento; è vecchio, messere, e il suo senno non è così ottuso, come io, Dio ci aiuti, vorrei che fosse: però ha l'onestà scritta in fronte.

AGRESTO: Sì, grazie a Dio, sono onesto quanto qualunque uomo vivo al mondo, voglio dire un uomo che sia vecchio e non più onesto di me.

SANGUINELLO: I paragoni sono odorosi; "pocas palabras", compare Agresto.

LIONATO: Vicini voi siete tediosi.

SANGUINELLO: Vostra Signoria si compiace di dir così, ma noi non siamo che le povere guardie del duca, ma davvero, per conto mio, anche se il mio ingegno fosse tedioso come un re, il cuore mi direbbe di donarlo tutto a Vostra Signoria.

LIONATO: Tutto il tedio su di me, eh?

SANGUINELLO: Sì, e anche se fosse mille libbre di più, perché io sento sì buona reclamazione sul conto di Vossignoria quanta sul conto di qualunque altro mai per tutta la città, e benché io non sia che un pover'uomo mi fa piacere il sentirlo.

AGRESTO: Anche a me fa piacere.

LIONATO: Io sentirei volentieri quello che avete da dirmi.

AGRESTO: Diamine, messere, la nostra ronda, stanotte, ha acchiappato un paio di furfanti matricolati quant'altri mai in Messina, salva la presenza di Vossignoria.

SANGUINELLO: E' un buon vecchio, messere, ma non può tenersi di chiacchierare perché, come dice il proverbio, quando vengono gli anni il cervello va via: Dio ci assista, bisogna vedere per credere! Ben detto, in verità, compare Agresto. Dio vede e provvede, e se due vanno su un cavallo, uno deve star davanti e uno dietro. Un'anima proprio dabbene, messere, quant'altra mai ruppe pane, affé. Dio sia lodato, tutti gli uomini non sono uguali, ahimè, buon vicino mio!

LIONATO: Infatti, compare, costui è troppo al di sotto di voi.

SANGUINELLO: Dio dà i suoi doni a chi gli pare.

LIONATO: Debbo lasciarvi.

SANGUINELLO: Una parola, messere, la nostra ronda ha davvero compreso due persone circospette e vorremmo che fossero interrogate stamane alla presenza della Signoria Vostra.

LIONATO: Interrogateli voi stessi e recatemene rapporto. Ho molto da fare, come vedete.

SANGUINELLO: Saremo deficienti a interrogarli noi.

LIONATO: Bevetevi un bicchiere di vino prima di andarvene:

arrivederci.



(Entra un Messaggero)


MESSO: Signore, siete atteso per dare vostra figlia a suo marito.

LIONATO: Vado da loro; son pronto.



(Escono Lionato e il Messaggero)


SANGUINELLO: Andate, amico, andate da Francesco Carbone e pregatelo di portare la penna e il calamaio alla prigione; ora dobbiamo interrogatoriare quegli uomini.

AGRESTO: E dobbiam farlo saggiamente.

SANGUINELLO: Non faremo risparmio d'ingegno, ve lo assicuro; qui (si tocca la fronte) c'è qualcosa che sconcerterà qualcuno: voi basta che preghiate il dotto scrivano di mettere in carta la nostra comunicazione, e ritroviamoci alle carceri.



(Escono)






ATTO QUARTO



SCENA PRIMA - Una chiesa

(Entrano DON PEDRO, DON GIOVANNI, LIONATO, FRATE FRANCESCO, CLAUDIO, BENEDETTO, ERO, BEATRICE, e Persone del seguito)


LIONATO: Su, Frate Francesco, siate breve: solo la semplice formula del matrimonio, ed enumererete dopo i loro obblighi reciproci.

FRATE: Voi, signore, siete venuto qua per sposare questa signora?

CLAUDIO: No.

LIONATO: Per essere sposato a lei; frate, voi siete venuto per sposarla.

FRATE: Signora, voi siete venuta qua per essere sposata al conte?

ERO: Sì.

FRATE: Se qualcuno di voi due conosce qualche impedimento nascosto che si opponga alla vostra unione, io vi ordino, per l'anima vostra, di manifestarlo.

CLAUDIO: Ne conoscete qualcuno voi, Ero?

ERO: Nessuno signore.

FRATE: Ne conoscete alcuno voi, conte?

LIONATO: Oso io rispondere per lui: nessuno.

CLAUDIO: Oh, quello che non osano fare gli uomini! quello che possono fare mai! quello che fanno ogni giorno e non sanno quello che fanno!

BENEDETTO: Come? delle interiezioni? E allora alcune siano di gioia, come ah, ah, eh!

CLAUDIO: Frate, un momento. Padre, con vostro permesso: voi volete con anima libera e senza alcuna costrizione darmi questa fanciulla vostra figliuola?

LIONATO: Così liberamente, figliuolo, come Dio me l'ha data.

CLAUDIO: E che cosa ho io da darvi indietro il cui valore possa contraccambiare un dono così bello e prezioso?

DON PEDRO:. Niente, a meno che non le rendiate la figlia.

CLAUDIO: Ottimo principe: voi mi insegnate una nobile gratitudine.

Ecco, Lionato, riprendetevela e non date quest'arancio marcio all'amico vostro: costei dell'onore non è che il simulacro e l'apparenza. Guardatela che arrossisce come una vergine! oh, di quale autorevolezza, di quale parvenza di verità sa vestirsi l'astuto peccato! Non sembra che quel sangue le salga alle guance testimonio modesto di ingenua virtù? Non giurereste voi tutti che la vedete, a quei segni, che costei è vergine? Non lo è. Costei già conosce il calore di un letto lussurioso, e il suo rossore non è innocenza, ma colpa.

LIONATO: Ma che dite, signore!

CLAUDIO: Dico che non la sposerò, che non unirò la mia anima con una prostituta notoria.

LIONATO: Mio caro signore, se siete stato voi che provandola abbiate vinto la resistenza della sua giovinezza e disfatta la sua verginità...

CLAUDIO: So già quello che volete dire: se io l'avessi conosciuta, voi direste che essa abbracciò me come suo marito e attenuereste così il suo peccato d'anticipazione. Ma no, Lionato. Io non l'ho mai tentata con troppo libere parole, non le ho mai mostrato che una ingenua sincerità e un decente amore, come di fratello a sorella.

ERO: E io vi sono apparsa il contrario?

CLAUDIO: Bando all'apparenza! Io voglio denunziarla. Voi mi sembrate come Diana nella sua sfera; casta come una gemma non ancora fiorita; ma nel sangue siete più impura di Venere e di quegli animali satolli che si infoiano di selvaggia lussuria.

ERO: Ma il mio signore sta bene, che parla così a vanvera?

LIONATO: Buon principe perché non parlate?

DON PEDRO: E che dovrei dire? Io mi sento disonorato a essermi dato da fare per legare il mio caro amico a una volgare bagascia.

LIONATO: Queste cose son dette davvero, o sono in che sogno?

DON GIOVANNI: Signore, sono dette; e sono cose vere.

BENEDETTO: Questo non somiglia a un matrimonio, mi pare.

ERO: Vere... oh Dio!

CLAUDIO: Lionato, son io qui? questo è il principe? è questo il fratello del principe? e quello è il volto di Ero? e i nostri occhi son nostri?

LIONATO: Sì, tutto ciò è così; ma questo, che c'entra?

CLAUDIO: Che io faccia una domanda soltanto a vostra figlia, e voi colla vostra naturale paterna autorità ordinatele di rispondere il vero.

LIONATO: Te l'ordino come a mia figlia.

ERO: Oh, Dio proteggetemi, come sono assediata! che interrogatorio è mai questo?

CLAUDIO: Per far sì che voi rispondiate veramente al vostro nome.

ERO: E non è Ero? Chi mai può macchiarlo di giusto rimprovero?

CLAUDIO: Diamine! Ero può farlo; Ero può macchiare la virtù di Ero.

Chi era quell'uomo che iernotte fra le dodici e l'una parlava con voi alla vostra finestra? Su, se siete vergine, rispondete a questo.

ERO: In non ho parlato con nessun uomo a quell'ora, signore.

DON PEDRO:. Come! Allora voi non siete vergine. Mi dispiace che dobbiate udir voi, Lionato, ma, sul mio onore io stesso, mio fratello, e l'oltraggiato conte, l'abbiamo veduta e sentita, iernotte a quell'ora, che parlava alla sua finestra con un manigoldo, che appunto da quel licenzioso ribaldo che è, ha già confessato i turpi convegni che hanno avuti mille volte in segreto.

DON GIOVANNI:. Basta, basta... non son cose da nominarsi nemmeno, mio signore nemmen da parlarne. Non v'è sufficiente castità nel linguaggio per poterle dichiarare senza offesa. Così, vezzosa signora, mi duole della vostra cattiva condotta.

CLAUDIO: Oh, Ero! Quale Ero saresti mai stata se la metà appena delle tue grazie esteriori fossero state conferite invece ai pensieri e ai consigli del tuo cuore! Ma addio, tu che sei così laida e così bella!

addio, tu pura empietà ed empia purezza. Per te io serrerò tutte le porte dell'amore; il sospetto graverà sui miei occhi, muterà ogni bellezza in pericolo, le toglierà per sempre la sua grazia.

LIONATO: Non c'è qui un pugnale che abbia una punta per me?



(Ero sviene)


BEATRICE: Oh, cugina, che avete? venite meno?

DON GIOVANNI: Su, andiamocene: son queste cose venute ora alla luce che le opprimono lo spirito.



(Escono Don Pedro, Don Giovanni e Claudio)


BENEDETTO: Come sta Ero?

BEATRICE: Morta. pare... Zio, aiuto! Ero! su, Ero! Zio... Signor Benedetto! Frate Francesco!

LIONATO: Oh fato! non ritrarre la tua pesante mano! La morte è la cosa migliore che possa desiderarsi a coprire la sua vergogna!

BEATRICE: Su, cugina, su...

FRATE: Coraggio, signora...

LIONATO: Apre gli occhi?

FRATE: Sì, perché non dovrebbe?

LIONATO: Perché? Non grida ogni cosa terrena la sua vergogna? Può essa negare la storia che il sangue le stampa in volto? Oh, Ero, non vivere, non aprire i tuoi occhi, perché se io credessi che tu non sai morir subito, che il tuo spirito fosse più forte della tua vergogna, io stesso a soccorso dei tuoi rimorsi, attenterei alla tua vita. E io che mi affliggevo di non aver che una figlia, ne rimproveravo la virtù creativa della parca natura... oh, che tu sola eri troppo! oh, perché ho avuto una figlia? Perché mi sei mai sembrata amabile? perché non ho io, con mano caritatevole, raccolto alla mia porta la prole di una mendica? Così insozzata e macchiata d'infamia: "Non è sangue mio- avrei potuto dire - la sua vergogna le viene dal suo seme ignoto". Ma è la mia, la mia che ho amato, la mia che ho avuto in pregio, la mia della quale ero orgoglioso tanto che io stesso non ero più mio bensì suo nel pregiarla... ed ecco... oh essa... essa è caduta in un pozzo d'inchiostro, tanto che il vasto mare non ha gocce d'acqua che bastino a mondarla, né sale che basti a preservare la sua turpe carne corrotta.

BENEDETTO: Signore, signore, fatevi cuore. Per me, io sono così fasciato di meraviglia da non saper cosa dire.

BEATRICE: Oh, sull'anima mia, mia cugina è calunniata.

BENEDETTO: Signora, eravate voi la sua compagna di letto la notte scorsa?

BEATRICE:. No, veramente no, benché fino alla scorsa notte, per un anno, io sia stata sua compagna di letto.

LIONATO: Questo conferma! conferma... e fa anche più forte quello che già era ferrato con cerchi di ferro. Avrebbero mentito i due principi?

Avrebbe mentito anche Claudio che pure tanto l'amava che parlando della turpitudine di lei la lavava con le sue lacrime? Via da lei! Si lasci che muoia.

FRATE: Ascoltate un poco anche me che, solo, son stato zitto tutto questo tempo, e ho lasciato che la fortuna seguisse il suo corso. Io badavo alla signora e ho notato che mille vampe di rossore le salivano al volto, e che mille innocenti pudori vestiti di candore angelico debellavano quelle vampe; e negli occhi le appariva una fiamma per bruciare gli errori sostenuti da quei principi contro la sua onestà virginale. Dite pure che sono uno sciocco, non fidatevi né dei miei studi, né delle mie osservazioni che col sigillo dell'esperienza confermano il contenuto dei miei libri, non fidatevi né della mia età, né della mia dignità, né del mio ministero, né della mia sacra scienza, se questa dolce signora non giace qui innocente sotto il morso di qualche errore.

LIONATO: Non può essere, frate. Tu vedi che l'unica grazia che le sia rimasta è che essa non vuole aggiungere lo spergiuro alla sua dannazione e che quindi non nega? Perché vuoi coprire tu con la scusa quello che appare nella sua schietta nudità?

FRATE: Signora, chi è quell'uomo per cui vi si accusa?

ERO: Lo sanno quelli che mi accusano, non io. Se io di qualsiasi uomo vivo so qualche cosa di più di quello che non comporti una virginale modestia, che tutti i miei peccati non trovino grazia! Oh padre!

provate voi che qualche uomo ha parlato con me a ora indebita, o che io ieri notte abbia scambiato parole con qualsiasi creatura, e allora ripudiatemi, odiatemi, torturatemi a morte!

FRATE: Vi è qualche strano inganno nei principi.

BENEDETTO: Due di loro sono l'onore in persona e se il loro discernimento non è stato fuorviato, la frode sta in Giovanni il bastardo la cui mente non s'affatica che a tramar delle infamie.

LIONATO: Non lo so. Se di lei dicono il vero, queste mani la faranno a pezzi, ma se essi oltraggiano l'onor suo anche il più orgoglioso di loro la pagherà cara. Il tempo non ha ancora tanto inaridito questo mio sangue, né la vecchiaia divorato il mio ingegno, né la fortuna fatto strage delle mie sostanze, né la mia cattiva vita mi ha privato di tanti amici, che costoro non debbano trovare forza di membra e astuzia di mente, e potenza di mezzi, e scelta di amici, talmente all'erta da sdebitarmi con loro interamente.

FRATE: Pazientate un poco e lasciatevi ora governare dal mio consiglio. I principi hanno lasciato qui vostra figlia per morta, tenetela per qualche tempo celata e dite invece che è morta: fate gran mostra di lutto; appendete funebri epitaffi sulla vostra antica tomba di famiglia, compite tutti quei riti che si convengono a un funerale.

LIONATO: E dove andremo a finire? A che servirà?

FRATE: Diamine, questa finzione, portata avanti bene, muterà, nei riguardi di lei, la calunnia in rimorso, e questo è già qualche cosa.

Ma non per ciò che io penso a tale inusitato espediente: da questo travaglio spero nasca un più gran risultato. Morta nel momento stesso che l'accusavano - come noi sosterremo - costei sarà compianta, lamentata e scusata da chiunque lo sappia; perché così accade: che non si apprezza il valore di quello che abbiamo mentre se ne gode; perdutolo ne sentiamo la mancanza, ne esageriamo il pregio e vi ritroviamo quelle virtù che il possesso non voleva mostrarci quando quella cosa era nostra. E così succederà a Claudio: appena costui sentirà che alle sue parole essa è morta, il pensiero della vita di lei si insinuerà dolcemente nelle sue meditazioni ed ogni leggiadria del vivo corpo di lei gli ritornerà all'occhio e allo sguardo dell'animo vestita di un abito più prezioso, più pungentemente delicata e più piena di vita, di quando essa viveva. Allora costui piangerà, se mai l'amore gli aveva penetrato le viscere, e desidererà di non averla accusata, no, neppure se credesse ancora alla sua accusa. Fate così e non dubitate che la riuscita darà all'evento migliore fisionomia di quanto io non possa prospettarvi ora come probabile. Ma se poi ogni nostra mira dovesse fallire, non fallirà questa: la creduta morte di lei estinguerà lo stupore della sua infamia, e se la cosa non prenda una buona piega, voi potrete sempre nasconderla in qualche chiostro remoto lontano da tutti gli occhi, da tutte le lingue ed ingiurie: così come meglio si addica alla sua reputazione ferita.

BENEDETTO: Signor Lionato, lasciatevi consigliare dal frate, e benché voi sappiate quanto grandi siano l'intimità e l'affetto che mi legano al principe e a Claudio, sul mio onore mi occuperò io di questo, così bene e così segretamente e così rettamente come la vostra anima si occuperebbe del vostro corpo.

LIONATO: Tanto mi stempero dal dolore che il filo più fragile può condurmi.

FRATE: Saggio consenso: e ora, via, a mali estremi occorrono estremi rimedi. Venite, signora, e morite per vivere: forse il giorno nuziale è rimandato soltanto, abbiate pazienza e sopportate.



(Escono tutti fuorché Benedetto e Beatrice)


BENEDETTO: Signora Beatrice, avete pianto tutto il tempo?

BEATRICE: Sì, e piangerò ancora.

BENEDETTO: Io non vorrei che faceste così.

BEATRICE: Non ne avete ragione, piango spontaneamente.

BENEDETTO: Io tengo per fermo che alla vostra bella cugina è stato fatto un torto.

BEATRICE: Oh, quanto meriterebbe di me l'uomo che la riabilitasse!

BENEDETTO: C'è qualche modo di mostrarvi tale amicizia?

BEATRICE: Il modo è agevole, ma manca l'amico.

BENEDETTO: Un uomo può farlo?

BEATRICE: E' ufficio da uomo, ma non è per voi.

BENEDETTO: Non c'è niente al mondo che io ami quanto voi: non è strano?

BEATRICE: Tanto strano quanto una cosa che ignoro. Sarebbe ugualmente possibile per me dirvi che io non amo nulla quanto voi; ma non credetemi; tuttavia non mentisco... non confesso nulla, non nego nulla. Mi dispiace di mia cugina.

BENEDETTO: Per la mia spada, Beatrice, tu mi ami.

BEATRICE: Non giurate e rimangiatevi le vostre parole.

BENEDETTO: Giuro sulla mia spada che voi mi amate e la farò mangiare io a chiunque sostenga che io non vi amo.

BEATRICE: Non volete rimangiarvi le vostre parole?

BENEDETTO: Con nessuna salsa che ci possano inventar sopra. Protesto che t'amo.

BEATRICE: Ebbene dunque, che Dio mi perdoni!

BENEDETTO: Di quale offesa, soave Beatrice?

BEATRICE: Mi avete fermata in buon punto; stavo per protestare di amarvi.

BENEDETTO: E allora, fatelo con tutto il vostro cuore.

BEATRICE: Vi amo tanto con tutto il mio cuore che non me ne resta punto per protestare.

BENEDETTO: Su, ordinami di far qualunque cosa per te.

BEATRICE: Uccidi Claudio.

BENEDETTO: Ah, no, per tutto il mondo intiero.

BEATRICE: Uccidete me col negarmelo. Addio.

BENEDETTO: Beatrice mia, aspetta....

BEATRICE: Io me ne sono già andata anche se son sempre qui: in voi non c'è amore; su ve ne prego, lasciatemi andare.

BENEDETTO: Beatrice...

BEATRICE: Me ne voglio andare davvero.

BENEDETTO: Ma prima dobbiamo far pace.

BEATRICE: Voi osate più facilmente fare pace con me che guerra col mio nemico.

BENEDETTO: Claudio è tuo nemico?

BEATRICE: Non si è dimostrato in sommo grado un ribaldo a calunniare, dispregiare, e disonorare una che m'è parente? Oh, se io fossi un uomo! Come! prenderla in giro fino al giorno di prenderla in isposa, e dopo, con pubblica accusa, calunnia palese, spietato rancore... Oh Dio; se io fossi un uomo! Gli mangerei il cuore in piazza.

BENEDETTO: Beatrice, stammi a sentire...

BEATRICE: Lei parlar con un uomo alla finestra! Bella trovata!

BENEDETTO: Senti, Beatrice...

BEATRICE: Oh la mia dolce Ero! l'hanno calunniata, oltraggiata, rovinata.

BENEDETTO: Beatr...

BEATRICE: Principi e conti! Già, testimonianza principe, accusa da farne gran conto del mio Contin de' Confetti, un damerino tutto bocca di dama, per certo! Oh, che per lui fossi io un uomo, o che io avessi un amico che volesse esser uomo per me! Ma la virilità s'è stemperata in inchini, il loro valore in complimenti, e ora gli uomini non son che linguette gentiline: valoroso come Ercole è chi sa dire una bugia e giurarci sopra. Il mio desiderio non potrà farmi essere un uomo, ma il mio dolore saprà farmi morire da donna.

BENEDETTO: Attendi. Beatrice mia. Per questa mano, giuro che t'amo.

BEATRICE: Usala per amor mio in qualche altro modo che non per giurarci sopra.

BENEDETTO: Tu credi sull'anima tua, che il conte Claudio abbia fatto torto a Ero?

BEATRICE: Sì, quant'è vero che ho pensiero e anima.

BENEDETTO: Basta, avete la mia parola; lo sfiderò. Vi bacio la mano e vi lascio. Per questa mano, Claudio me la pagherà cara; e voi giudicate di me secondo quello che di me udrete. Andate a confortare vostra cugina, io debbo dire che è morta. Addio.



(Escono)






SCENA SECONDA - Una prigione

(Entrano SANGUINELLO, AGRESTO e il Chierico in toga; la Ronda con CORRADO e BORRACCIO)


SANGUINELLO: Son presenti tutti i contenuti?

AGRESTO: Oh! uno sgabello e un cuscino per il chierico!

CHIERICO: Quali sono i detenuti?

SANGUINELLO: Diamine, io e il mio collega.

AGRESTO: Già, sicuro, perché noi siamo tenuti a deporre le ricevute.

CHIERICO: Ma quali sono i malfattori che debbono far deposizione? Che compaiano davanti al bargello.

SANGUINELLO: Sì, diamine, che mi compaiano davanti. Amico come vi chiamate?

BORRACCIO: Borraccio.

SANGUINELLO: Per favore, scrivete, Borraccio. E voi, giovinotto?

CORRADO: Io sono un gentiluomo, messere, e mi chiamo Corrado.

SANGUINELLO: Scrivete, mastro gentiluomo Corrado. Signori, servite voi Iddio?

CORRADO: e BORRACCIO: Sì, messere, lo speriamo.

SANGUINELLO: Scrivete che essi sperano di servire Iddio, e scrivete prima Iddio ché a Dio non piaccia che Iddio non dovesse andar prima di questi ribaldi! Signori, è già stato provato che voi non siete nulla di meglio che furfanti matricolati, e tra poco ci vorrà poco a crederlo. Che dite in vostra difesa?

CORRADO: Diamine, messere, che noi non lo siamo.

SANGUINELLO: Un uomo di spirito meraviglioso, state pur certo, ma io ne avrò ragione. Venite qui, voi, giovanotto, una parola in un orecchio: messere, vi dico, si pensa che voi siate dei furfanti matricolati.

BORRACCIO: Messere, ve lo ripeto non lo siamo.

SANGUINELLO: Va bene, fatevi da parte: per Dio, si sono messi d'accordo. Avete scritto che non sono?

CHIERICO: Signor bargello, questo non è il modo d'interrogarli. Voi dovete far venire la ronda e sapere di che li accusa.

SANGUINELLO: Già, diamine, codesto è il modo più labile. Venga avanti la ronda. Signori, io ve l'ordino in nome del principe, accusate questi uomini.

PRIMA GUARDIA: Costui ha detto, messere, che Don Giovanni, il fratello del principe, era uno scellerato.

SANGUINELLO: Scrivete: il principe Giovanni è uno scellerato Ecco, questo è pretto spergiuro dire che il fratello di un principe è uno scellerato.

BORRACCIO: Signor bargello.

SANGUINELLO: Silenzio, amico, ti prego. Ti prometto che la tua faccia non mi piace punto.

CHIERICO: Lo avete sentito dir qualcos'altro?

SECONDA GUARDIA: Diamine, che ha ricevuto mille ducati da Don Giovanni per accusare falsamente madonna Ero.

SANGUINELLO: Pretto scasso se mai ce ne fu uno!

AGRESTO: Per la messa, è proprio così.

CHIERICO: E che altro, compare?

PRIMA GUARDIA: E che il conte Claudio, in seguito alle sue parole, ha giurato di svergognare Ero davanti a tutti e non sposarla.

SANGUINELLO: Oh furfante! Ti condanneranno alla redenzione eterna per questo!

CHIERICO: E che altro?

GUARDIE: E' tutto.

CHIERICO: E questo, signori, è più di quanto non possiate negare.

Stamattina il principe Giovanni è fuggito di nascosto, Ero è stata in questo modo accusata, ripudiata proprio così, e dal dolore ne è morta improvvisamente. Mettete le manette a questi uomini, signor ufficiale e portateli a casa di Lionato; io andrò avanti a mostrargli il loro interrogatorio.

SANGUINELLO: Su, che siano ammantati.

AGRESTO: Che lo siano, nelle mani.

CORRADO: Via citrullo!

SANGUINELLO: Dio m'assista! Dov'è il chierico? Che scriva: l'ufficiale del principe è un citrullo; su, legateli! Bricconaccio!

CORRADO: Via, siete un asino!

SANGUINELLO: Non sospetti la mia posizione? Non sospetti i miei anni?

Oh, che ci fosse qui il chierico, a scrivere che io sono un asino! Ma voi, signori, ricordatevi che io sono un asino; anche se non è scritto, non dimenticatevi che io sono un asino. No. Tu, ribaldo, tu, sei un mostro di pietà come sarà provato da buona testimonianza. Io sono un saggio, e quel che è di più un ufficiale, e quel che è di più un benestante, e quel che è di più anche un bel pezzo d'uomo, il migliore di tutta Messina: e anche uno che sa di legge, vai vai, e che è ricco abbastanza, vai vai, e anche uno che ha avuto dei rovesci, e ha due toghe ed è lindo della persona. Portatelo via... Oh, se fosse stato messo agli atti che io sono un asino!



(Escono)






ATTO QUINTO



SCENA PRIMA - Davanti alla casa di Lionato

(Entrano LIONATO e ANTONIO)


ANTONIO: Vi ucciderete andando innanzi così: non è da saggi secondare a questo modo un dolore che è contro la vostra salute.

LIONATO: Smettila coi consigli ti prego: cadono nelle mie orecchie inutili come l'acqua in uno staccio. Non darmi consigli, che nessun consolatore mi blandisca l'orecchio, a meno che non sia un tale i cui dolori si accordino coi miei. Menami un padre che abbia tanto amato la sua creatura, la cui gioia in lei riposta sia stata distrutta come la mia e digli che sia lui a parlarmi di pazienza. Misura la sua sofferenza alla lunghezza e all'ampiezza della mia e che ci corrisponda metro a metro, e tanto a tanto, e dolore a dolore, in ogni lineamento, ramificazione, forma ed aspetto; se un tal uomo potrà sorridere e lisciarsi la barba e, patetico buffone! schiarirsi la gola quando dovrebbe gemere, e rattoppare di proverbi il suo dolore, e ubriacare la sua disgrazia consumando sui libri la lucerna: menami costui e da lui imparerò la pazienza. Ma un tale uomo non c'è, poiché, fratello mio, gli uomini sanno consigliare e confortare il dolore che essi medesimi non sentono: ma se lo provano, diventa furore la loro saggezza, che prima voleva dar medicina di ammonimenti alla rabbia, impastoiare la frenetica pazzia con fili di seta, incantare la pena con dell'aria, e l'angoscia con le parole. No, no, è ufficio di tutti parlare di pazienza a coloro che si torcono sotto il peso dell'affanno, ma in nessun uomo è tanta virtù e potere da saper predicare a quel modo quando deve sopportare il simile lui stesso.

Quindi non darmi consigli: i miei dolori hanno voce più forte dei tuoi precetti.

ANTONIO: In questo gli uomini non differiscono dai fanciulli.

LIONATO: Basta, te ne prego: voglio essere di carne e di sangue, e non c'è mai stato un filosofo che abbia tollerato con pazienza il mal di denti anche se abbia scritto come un dio e abbia trattato dall'alto in basso la sofferenza ed il caso.

ANTONIO: E allora non prendetevi tutto il male su di voi, fate soffrire anche quelli che vi offendono.

LIONATO: Ecco che dici giusto, sicuro che lo farò. A me l'animo dice che Ero è stata diffamata e questo dovrà impararlo Claudio e il principe, e tutti quelli che l'hanno disonorata.

ANTONIO: Il principe e Claudio vengono qui di gran fretta.



(Entrano DON PEDRO e CLAUDIO)


DON PEDRO: Buona sera, buona sera.
CLAUDIO: Buon giorno a tutti e due.

LIONATO: Ascoltate, miei signori...

DON PEDRO: Noi abbiamo fretta, Lionato.

LIONATO: Fretta. mio signore! Benissimo, buon viaggio, mio signore; tanta fretta avete ora? bene, è lo stesso.

DON PEDRO: Suvvia, buon vecchio, non litigate con noi.

ANTONIO: Se litigando potesse farsi giustizia qualcuno di noi andrebbe a terra.

CLAUDIO: E chi l'offende?

LIONATO: Diamine! Sei tu che mi offendi, bugiardo! E non mettere mano alla spada, ché non ho paura di te.

CLAUDIO: Mi si secchi la mano se mai dovessi dar causa di temere alla vostra vecchiaia; la mano mi è andata alla spada per caso.

LIONATO: Ehi, ehi, giovanotto, non scherzare con me e non deridermi, ché non ti parlo né da rimbambito né da sciocco, né mi faccio schermo della mia età per andar vantando quello che ho fatto da giovine o quello che farei se non fossi vecchio. Sappi, Claudio, e te lo dico anche in faccia, che tu hai tanto oltraggiato me e la mia creatura innocente che io sono costretto a metter da un lato la mia venerabilità, e, nonostante i miei capelli grigi e l'acciacco di molti anni, ti sfido a una prova da uomo a uomo. Io ti dico che tu hai diffamato la mia creatura innocente, che la tua calunnia le ha trapassato il cuore, ed ora essa giace sepolta con gli avi suoi, in una tomba dove mai disonore non ha dormito se non questo suo, ordito dalla tua scelleratezza.

CLAUDIO: La mia scelleratezza?

LIONATO: La tua, Claudio, dico la tua.

DON PEDRO: Voi non dite giusto, vecchio.

LIONATO: Mio signore, mio signore, io glielo proverò sul corpo, se osa a dispetto della sua bella scherma e del suo buon esercizio, del maggio della sua giovinezza, e del fiore della sua forza.

CLAUDIO: Via! Non voglio avere a che fare con voi!

LIONATO: Puoi mettermi da parte così? Tu hai ucciso la mia creatura e se ora, giovinotto, uccidi me, avrai ucciso un uomo.

ANTONIO: Due ne deve uccidere, e che uomini! ma ciò non ha peso, cominci da uno: vinca me, batta me, si misuri con me. Su, signorino, venite con me, su, signorino, su, seguitemi, signorino, a sferzate vi farò passar la voglia di stoccheggiare, quant'è vero che sono un gentiluomo.

LIONATO: Fratello...

ANTONIO: Tacete. Dio sa se volevo bene alla mia nipote ed ora è morta, ammazzata dalle calunnie di furfanti che non osano misurarsi con un uomo più di quanto io non osi prender per la lingua un serpente:

ragazzini, scimmiotti, millantatori, zanni, smidollati!

LIONATO: Fratello Antonio...

ANTONIO: Sta' zitto! Come se io non li avessi conosciuti e pesati fino all'ultimo ette: giovinastri rissosi, bravacci, azzimati, che mentono, imbrogliano, scherniscono, vituperano e calunniano, camminano dinoccolandosi, fanno il ceffo feroce, e con una mezza dozzina di minacciose parole dicono come concerebbero i loro nemici se osassero, e questo è tutto.

LIONATO: Ma fratello Antonio...

ANTONIO: Andiamo, voi non c'entrate e non immischiatevene, me la sbrigo da solo.

DON PEDRO: Signori, non vogliamo provocare la vostra pazienza; il mio cuore si duole della morte della vostra figliuola; tuttavia, sul mio onore, non fu accusata di niente che non fosse vero e abbondantemente provato.

LIONATO: Mio signore, mio signore...

DON PEDRO: Non voglio ascoltarvi.

LIONATO: Andiamo, fratello, saprò farmi ascoltare.

ANTONIO: E lo sarete, o qualcuno di noi la sconta. (Escono Lionato e Antonio)



(Entra BENEDETTO)


DON PEDRO: Vedete, vedete... ecco l'uomo che andavamo a cercare.

CLAUDIO: Ebbene, signore, che nuove?

BENEDETTO: Mio signore, buon giorno.

DON PEDRO: Benvenuto, signore, siete quasi giunto in tempo a spartire una mezza rissa.

CLAUDIO: Stavamo per farci mozzare il naso da due vecchi sdentati.

DON PEDRO: Lionato e suo fratello, che ne pensi? Non so, se fossimo venuti alle mani, se saremmo stati troppo giovani per loro.

BENEDETTO: In una contesa fatta a torto non v'è retto valore. Io sono venuto a cercarvi tutti e due.

CLAUDIO: Siamo stati dappertutto a cercar te: poiché abbiamo una malinconia a tutta prova e vorremmo scacciarla. Vuoi adoperare il tuo spirito?

BENEDETTO: Sta nel fodero: debbo tirarlo fuori?

DON PEDRO: Porti il tuo spirito al fianco?

CLAUDIO: Nessuno l'ha fatto mai benché ci siano moltissimi che l'hanno per traverso. Ti prego, come si pregano i menestrelli, di tirar fuori il tuo strumento. Tiralo fuori e divertici.

DON PEDRO: Parola di onest'uomo, impallidisce. Sei arrabbiato o malato?

CLAUDIO: Su, amico, coraggio! i pensieri possono uccidere, ma tu hai spirito abbastanza da uccidere i pensieri!

BENEDETTO: Messere, io affronterò il vostro spirito a tutta carriera se voi mi caricate addosso. Vi prego di cambiare discorso.

CLAUDIO: Bene, dategli un'altra lancia, questa gli s'è spezzata di traverso.

DON PEDRO: Santa luce! cambia colore di più in più: io credo che sia arrabbiato davvero, CLAUDIO: Se lo è sa come girarsi la cintura.

BENEDETTO: Posso dirvi una parola all'orecchio?

CLAUDIO: Dio mi salvi da una sfida!

BENEDETTO (a parte, a Claudio): Siete un furfante, non scherzo, e ve lo proverò come, dove e quando ne abbiate il coraggio. Datemi soddisfazione o proclamerò la vostra vigliaccheria: avete fatto morire una cara signora e la sua morte ricadrà su di voi. Aspetto vostre notizie.

CLAUDIO: Va bene, verrò al vostro invito purché ci sia da stare allegri.

DON PEDRO: Come, un festino? un festino?

CLAUDIO: Già, e lo ringrazio; mi ha invitato dove ci sarà una testa di manzo e un cappone che se non me li scalco io a modino dite pure che il mio coltello è un buono a nulla. Ci sarà anche un beccaccino?

BENEDETTO: Messere, il vostro ingegno va bene all'ambio: ha l'andatura facile.

DON PEDRO: Ti racconterò come Beatrice lodava il tuo spirito l'altro giorno. Io le dissi che tu avevi uno spirito sottile: "Sì - dice lei - uno spirito esile esile". "No - dico io - un grande spirito". "Sì - dice lei - uno spirito grande e grosso". "No - dico io - un buono spirito". "Giusto - dice lei - non fa male a nessuno". "Già - dico io - il gentiluomo è dabbene!". "Veramente - dice lei - è un dabben uomo". "E poi - dico io possiede molte lingue". "A questo ci credo - dice lei - perché lunedì sera mi ha giurato una cosa e se l'è rimangiata il martedì mattina, questo è possedere la lingua doppia, cioè possedere due lingue". Così per un'ora intiera è stata a travisare tutte le tue virtù, però da ultimo ha concluso con un sospiro che tu eri l'uomo più in gamba d'Italia.

CLAUDIO: Della qual cosa poi ha pianto con tutto il cuore e ha detto che non gliene importava nulla.

DON PEDRO: Sì, veramente, e tuttavia, nonostante tutto, se non l'odiasse mortalmente l'amerebbe affettuosissimamente. La figlia del vecchio ci raccontò tutto.

CLAUDIO: Tutto, tutto, e per di più Dio lo vide quand'era nascosto nel giardino.

DON PEDRO: Quand'è che appiccicheremo le corna del toro selvaggio sulla fronte dell'assennato Benedetto?

CLAUDIO: Sì, e sotto il cartello: "Qui abita Benedetto, l'uomo ammogliato"?

BENEDETTO: Addio, giovanotto, voi sapete come la penso. Vi lascio ora alle vostre ciance, fate sfoggio di frizzi come gli spacconi delle loro spade, che però, per fortuna, non fanno male a nessuno. Mio signore, delle vostre molte cortesie vi ringrazio, ma debbo lasciare il vostro servizio. Il vostro fratello bastardo è fuggito da Messina:

voi avete, fra voi, causata la morte di una dolce e innocente signora.

In quanto a Monsignor Sbarbatello costì, ci rivedremo più tardi, e fin allora vada in pace.



(Esce)


DON PEDRO: Parla sul serio.

CLAUDIO: Molto sul serio e, ve lo garantisco io, per amore di Beatrice.

DON PEDRO: E ti ha sfidato?

CLAUDIO: Con tutta l'anima.

DON PEDRO: Che bella cosa che è l'uomo quando esce in calzoni e giustacuore e lascia a casa il giudizio!

CLAUDIO: Allora è come un gigante a petto d'una scimmia; ma la scimmia è un dottore a petto di lui.

DON PEDRO: Ma basta, lasciatemi stare: sta' su, cuor mio, e sii serio.

Non ha detto costui che mio fratello è fuggito?



(Entrano SANGUINELLO, AGRESTO, e la Ronda con CORRADO e BORRACCIO)


SANGUINELLO: Avanti, messere, se la giustizia non saprà domarvi, vuol dire che non avrà più un grano di ragione da pesare sulla sua bilancia. E se una volta s'è scoperto che siete un maledicente bugiardo, bisogna tenervi gli occhi addosso.

DON PEDRO: Che diamine! Due degli uomini di mio fratello arrestati ! e uno è Borraccio!

CLAUDIO: Domandate della loro colpa, mio signore.

DON PEDRO: Guardie! Che colpa hanno commesso questi uomini?

SANGUINELLO: Diamine, signore: primo, hanno commesso una falsa voce, e per di più hanno mentito; secondariamente, sono dei vituperi; sesto e ultimo hanno denigrato una donna, terzo hanno verificato ingiustissime cose e, per concludere, sono dei birbanti bugiardi.

DON PEDRO: Per prima cosa ti domando cosa hanno fatto, terzo ti domando che colpa hanno commesso, sesto e ultimo perché li avete arrestati, e per concludere di che cosa li imputate?

CLAUDIO: Ben ragionato, e secondo la sua numerazione, in fede mia, ecco un senso solo sotto varie vesti.

DON PEDRO: Chi avete offeso, giovinotto, per essere così obbligati a risponderne? Questo dotto signor ufficiale è troppo sottile per poterlo capire: che avete fatto?

BORRACCIO: Dolce principe, non occorre che io vada più oltre per rispondere, ascoltatemi voi, e che poi il signor conte mi uccida. Ho ingannato perfino gli stessi occhi vostri: quello che la vostra sagacia non ha saputo scoprire lo hanno portato alla luce questi superficiali sciocchi, che nella notte mi hanno sentito confessare a quest'uomo come Don Giovanni, vostro fratello, mi incitò a calunniare madonna Ero, come voi foste condotto in giardino per vedere me corteggiare Margherita vestita da Ero; come voi la vituperaste quando avreste dovuto sposarla. La mia ribalderia l'hanno messa agli atti e io preferirei suggellarla con la mia morte che ripeterla ancora a mia vergogna. Per la falsa accusa mia e del mio padrone la signora è morta, e, a farla breve, io non voglio altro che quello che un ribaldo si merita.

DON PEDRO: Questo discorso non vi corre nel sangue come ferro diaccio?

CLAUDIO: Ho bevuto veleno mentre costui lo pronunziava.

DON PEDRO: Ma è mio fratello che ti ci ha spinto?

BORRACCIO: Sì, e mi ha anche lautamente pagato perché lo facessi.

DON PEDRO: Costui è fatto e fabbricato di frode e dopo questa infamia è fuggito.

CLAUDIO: Oh, dolce Ero, ora la tua immagine mi ricompare in quel meraviglioso sembiante in cui per la prima volta l'ho amata.

SANGUINELLO: Via, portate via le parti lesse, a quest'ora il nostro chierico deve aver riformato il signor Lionato della cosa e, signori, non vi dimenticate di specificare a tempo debito e luogo, che io sono un asino.

AGRESTO: Eccoli, eccoli che vengono, il signor Lionato ed il chierico.



(Rientrano LIONATO e ANTONIO col Chierico)


LIONATO: Dov'è questo furfante? Che io lo veda negli occhi sì che possa riconoscerne un altro allo sguardo e evitarlo. Qual è?

BORRACCIO: Se volete conoscere chi vi offese guardatemi.

LIONATO: Sei tu quell'infame che col tuo fiato ha ucciso la mia creatura innocente?

BORRACCIO: Sì, io, e soltanto io.

LIONATO: No, non così, furfante: ti calunni. Ci sono qui un paio di onorevoli signori - il terzo è fuggito - che c'ebbero una mano anche loro. Vi ringrazio, principi, della morte della mia figliuola:

segnatela fra le vostre alte e nobili gesta, perché fu cosa gloriosa, se voi ci ripensate.

CLAUDIO: Non so con quali parole implorare la vostra pazienza:

tuttavia, debbo parlare. Scegliete voi stesso la vostra vendetta, imponetemi qualsiasi pena che la vostra fantasia ritenga opportuna per la mia colpa; e tuttavia non ne ho altra che d'essermi ingannato.

DON PEDRO: Per l'anima mia, nemmeno io; eppure per dare soddisfazione a questo buon vecchio mi piegherei a qualunque gravissimo peso che costui voglia impormi.

LIONATO: Io non posso ordinarvi di ordinare a mia figlia di vivere:

questo sarebbe impossibile, solo prego tutti e due di informare la gente qui di Messina di come essa sia morta innocente; e se poi il vostro amore può escogitare qualche triste invenzione, appendetele un epitaffio alla tomba e cantatelo alla sua spoglia, cantateglielo stanotte. Venite poi, domani mattina, a casa mia. Poiché non potete più essere mio genero, siate almeno mio nipote: mio fratello ha una figlia che è quasi l'immagine della mia povera figliuola, a costei che è la nostra unica erede date quel titolo che avreste dato a sua cugina, e così la mia vendetta è finita.

CLAUDIO: Oh, nobile signore. La vostra eccessiva bontà mi strappa le lacrime: io abbraccio la vostra proposta: d'ora innanzi disponete del povero Claudio.

LIONATO: Aspetto la vostra venuta domani; per stasera vogliate scusarmi. Questo briccone sarà messo a faccia a faccia con Margherita che, credo, è stata complice in questo male, pagata da vostro fratello.

BORRACCIO: No, sull'anima mia, non lo è stata e nemmeno sapeva cosa facesse quando parlò con me. Per quello che ne so io è stata sempre virtuosa ed onesta.

SANGUINELLO: E per di più, signore, e questo non fu posto in nero sul bianco, la parte lessa qui, il reo, mi ha chiamato asino: vi imploro, ci se ne ricordi nell'assegnargli la pena. E poi la ronda li ha uditi parlare di un certo Difforme e dicono che porti una chiave all'orecchio da cui pende la toppa, e che prende soldi a prestito a nome di Dio e che poi non li rende, e l'ha fatto per tanto tempo che gli uomini ora ci si sono induriti il cuore e non vogliono dar più nulla in nome di Dio. Vi prego, interrogatelo su questo punto.

LIONATO: Ti ringrazio per la tua premura e per il tuo disturbo.

SANGUINELLO: Vostra signoria parla come un gratissimo e reverendissimo giovine, e io lodo Dio per voi.

LIONATO: Ecco per il tuo disturbo.

SANGUINELLO: Dio salvi l'opera pia.

LIONATO: Va', io ti libero del tuo prigioniero e ti ringrazio.

SANGUINELLO: Lascio un furfante matricolato con la signoria Vostra che io prego la signoria Vostra di corregger lei stessa per esempio agli altri. Dio mantenga Vostra Signoria! Desidero ogni bene a Vostra signoria, Dio vi rimetta in salute! Umilmente vi do il congedo di andare, e se un lieto incontro possa essere augurato, Dio lo proibisca! Andiamo, vicino.



(Escono Sanguinello e Agresto)


LIONATO: Signori, arrivederci a domani mattina.

ANTONIO: Arrivederci, signori, vi attendiamo domani mattina.

DON PEDRO: Non mancheremo.

CLAUDIO: Piangerò presso Ero, stanotte.

LIONATO (alla Ronda): Avanti, voi, con costoro. Sentiremo da Margherita come ha conosciuto questo scellerato.



(Escono da parti diverse)






SCENA SECONDA - Il giardino di Lionato

(BENEDETTO e MARGHERITA entrano incontrandosi)


BENEDETTO: Un favore, dolcissima Margherita, e avrai tutta la mia riconoscenza. Aiutatemi a parlare a Beatrice.

MARGHERITA: E dopo scriverete un sonetto in lode della mia bellezza?

BENEDETTO: E di stile così elevato che nessun uomo vivo potrà andarvi sopra, perché, a onor del più bel vero, tu lo meriti.

MARGHERITA: Non aver mai nessun uomo sopra di me? Dovrò sempre starmene nel sottoscala?

BENEDETTO: Il tuo spirito è invero come la bocca d'un levriero:

acchiappa.

MARGHERITA: E il vostro è ottuso come la punta del fioretto da scherma: tocca e non passa.

BENEDETTO: Uno spirito davvero virile, Margherita, non deve ferire una donna. E ora, ti prego, va' a chiamar Beatrice, te la do vinta e ti abbandono lo scudo.

MARGHERITA: Dateci invece la spada; gli scudi ce li abbiamo da noi.

BENEDETTO: Se li adoperate dovreste invitarci il brocco; son armi pericolose per le ragazze.

MARGHERITA: Ecco andrò a chiamar Beatrice che, mi pare, ha gambe.



(Margherita esce)


BENEDETTO: E che quindi verrà. (Canta)

Il dio d'amor che in cielo stassi, e che ben sa, ben sa, ch'io fo piangere i sassi...

come cantore, voglio dire; ma come amante... quel buon nuotatore che fu Leandro, Troilo, il primo che adoperasse mezzani, e un'intera filastrocca di questi defunti cavalier serventi i cui nomi corrono così agevolmente sulla liscia strada del verso sciolto, ecco nessuno fu mai voltolato e rivoltolato come in amore lo è stato il povero Benedetto. Che diamine! e non poterlo dire colle rime: ci ho provato, ma a "amandola" non so trarre altra rima che "bambola", troppo innocente; a "scorno", "corno", troppo dura; a "tremo", "scemo", troppo sciocca; rime che presagiscono male, non sono nato sotto una stella poetica, né so fare la corte con parole da corte d'amore.



(Entra BEATRICE)


Oh, dolce Beatrice, hai consentito a venire quando io ti avevo chiamata?

BEATRICE: Sì, signore, e ad andarmene quando voi l'ordiniate.

BENEDETTO: Oh, resta fino ad allora!

BEATRICE: "Allora" lo avete già detto, dunque, arrivederci, ma prima che me ne vada, lasciatemi andare con quello che sono venuta per sapere: cioè, che è successo fra voi e Claudio?

BENEDETTO: Solo delle brutte parole; e quindi ti darò un bel bacio.

BEATRICE: Brutte parole non son che brutto vento, brutto vento è un brutto alito, un brutto alito è fastidioso, quindi me ne andrò senza baci.

BENEDETTO: Tu hai fatto uscir di senso la mia parola, tanto arguto è il tuo spirito: ma, per dirtela senz'ambagi, Claudio ha ricevuto la mia sfida, e o mi darà presto sue notizie o lo denuncerò per vigliacco. E ora, dimmi, sii buona, per quale delle mie cattive parti ti sei prima innamorata di me?

BEATRICE: Tutte quante, le quali mantenevano un così malvagio governo, e così partigiano, di voi che non ammettevano a nessun'altra parte di mischiarsi con loro. Ma voi, per quale delle mie buone parti avete prima sofferto amore?

BENEDETTO: "Sofferto amore"! Bella espressione! Io soffro infatti amore perché ti amo contro la mia volontà.

BEATRICE: A dispetto del vostro cuore, credo. Ohimè, povero cuore, se voi gli fate torto per amor mio, io gliene farò per amor vostro e non amerò mai ciò che il mio amico odia.

BENEDETTO: Siamo troppo intelligenti noi due, per fare all'amore in pace.

BEATRICE: Non se te lo dici da te: chi si loda s'imbroda.

BENEDETTO: E' un proverbio di quando Berta filava. Di questi tempi, se un uomo non si erige la tomba da sé prima di morire, non lascerà monumento di sé, se non per quel poco che la campana suona e la vedova piange.

BEATRICE: E quanto dura tutto questo, secondo voi?

BENEDETTO: Che domanda! Ecco, un'ora a piangere e un quarto d'ora a soffiarsi il naso: quindi è molto più comodo per il saggio - se Mastro Baco, vale a dire la sua coscienza non trova obiezioni - che faccia da araldo alle sue virtù, come io faccio a me stesso. Questo a riguardo del mio lodarmi, che poi ne son io testimone, son persona lodabilissima. Ma ora ditemi, come sta vostra cugina?

BEATRICE: Malissimo.

BENEDETTO: E voi come state?

BEATRICE: Malissimo anch'io.

BENEDETTO: State con Dio, amatemi e rimettetevi; ed ora vi lascio perché qui viene qualcuno che ha fretta.



(Entra ORSOLA)


ORSOLA: Signora, dovete venire da vostro zio: c'e parecchia confusione là a casa: hanno provato che madonna Ero è stata falsamente accusata, che il principe e Claudio sono stati vilmente ingannati: e tutto questo è opera di Don Giovanni, che si è dato alla fuga. Volete venir subito?

BEATRICE: Volete venire a sentire queste notizie, signore?

BENEDETTO: Vorrei vivere nel tuo cuore, morire sul tuo grembo, essere sepolto nei tuoi occhi: figurati se non voglio venire con te da tuo zio.



(Escono)






SCENA TERZA - Una Chiesa

(Entrano DON PEDRO, CLAUDIO, e altri tre o quattro con dei ceri)


CLAUDIO: E' questo il sepolcro di Lionato?

SIGNORE: Sì, signore.

CLAUDIO (legge su un foglio):

Da calunniose lingue, infami, uccisa fu quell'Ero che qui fredda si giace:

a ristoro ai suoi mali or le divisa la morte eterna fama, eterna pace.

La vita che morì per l'onta, ha in sorte di vivere di gloria nella morte.

E tu che alla sua tomba appeso stai quand'io muto sarò la loderai.

E ora, musici, sonate, e cantate il vostro inno solenne.



INNO
Notturna Dea, perdono per quei che la tua vergine ti uccisero, ora con triste suono intorno alla sua tomba essi s'aggirano.

O mezzanotte, aiutaci nel pianto, nei sospiri e nel nostro mesto canto, funebre e grave. Apriti tomba e porgici i tuoi morti, finché la vostra voce la conforti, funebre e grave.



CLAUDIO: Ora, pace alla tua spoglia! Questo rito lo compirò tutti gli anni.

DON PEDRO: Buon mattino, signori; spegnete pure le vostre torce, i lupi han finito di predare, e, guardate, la mite aurora già dinanzi alle ruote di Febo marezza l'assonnato oriente di grigi bagliori.

Grazie a tutti, e lasciateci; arrivederci.

CLAUDIO: Buon mattino, signori, ciascuno vada per la sua strada.

DON PEDRO: Andiamo, usciamo di qui e mettiamo altri abiti: dopo andremo da Lionato.

CLAUDIO: Che Imene ci assista ora con una migliore fortuna che non quella per cui abbiam celebrato questo lutto.







SCENA QUARTA - Una stanza in casa di Lionato

(Entrano LIONATO, ANTONIO, BENEDETTO, BEATRICE, MARGHERITA, ORSOLA, FRATE FRANCESCO e ERO)


FRATE: Non ve l'avevo detto io che era innocente?

LIONATO: Ma lo sono anche il principe e Claudio che l'hanno accusata in seguito all'errore che avete sentito dichiarare: Margherita ne ha avuta un po' di colpa, ma senza intenzione, com'è apparso dal retto corso delle indagini.

ANTONIO: Be', son contento che tutto vada a finire così bene.

BENEDETTO: Io pure, ché altrimenti sarei stato costretto dal mio giuramento a chiamar Claudio a renderne ragione.

LIONATO: Su, figliuola, e anche voi, mie signore, ritiratevi nei vostri appartamenti e quando vi chiamerò io venite qua mascherate. (Le Signore escono) Il principe e Claudio mi hanno promesso di esser qui per quest'ora. Voi sapete la vostra parte, fratello: dovrete far da padre alla figlia di vostro fratello e darla al giovane Claudio.

ANTONIO: Il che io farò con volto imperturbabile.

BENEDETTO: Frate, io dovrò ricorrere al vostro ministero, credo.

FRATE: A far cosa, signore?

BENEDETTO: A legarmi o disfarmi per sempre: una delle due, signor Lionato, la verità è, mio buon signore, che vostra nipote mi guarda con occhio favorevole.

LIONATO: Un modo di guardare che le ha prestato mia figlia, è verissimo.

BENEDETTO: Ed io la ricambio con occhio innamoratissimo.

LIONATO: La cui vista, io credo, l'avete avuta da me, da Claudio e dal principe: ma la vostra intenzione qual e?

BENEDETTO: La vostra risposta è enigmatica, messere; ma in quanto alla mia intenzione non ho altra intenzione se non che le vostre buone intenzioni concordino con le nostre: di essere congiunti oggi in onorevole matrimonio: per la qual cosa chiedo il vostro aiuto, buon frate.

LIONATO: Il mio cuore è col piacer vostro.

FRATE: Insieme al mio aiuto. Ecco il principe e Claudio.



(Entrano DON PEDRO e CLAUDIO con altri due o tre Signori)


DON PEDRO: Buon giorno a questa bella compagnia.

LIONATO: Buon giorno principe, buon giorno, Claudio, vi attendevamo:

avete ancora intenzione di sposare oggi la figlia di mio fratello?

CLAUDIO: Intenzione fermissima, fosse anche una negra.

LIONATO: Allora chiamatela, fratello; il frate è già pronto.



(Esce Antonio)


DON PEDRO: Buon giorno, Benedetto. Be', cos'è successo che fate codesta faccia da febbraio, così raggelata, tempestosa e rannuvolata?

CLAUDIO: C'è caso che ripensi al toro "sì fiero e sì crudel animale".

Su, su, giovinotto, non aver paura, ché te le indoreremo quelle corna, e tutta l'Europa godrà di te così come una volta Europa godette dell'impetuoso Giove, quando questi, in amore, faceva la parte di quella nobile bestia.

BENEDETTO:

Giove muggìa con arti assai leggiadre, e la vacca coprì di vostro padre, talché un vitello somigliante n'ebbe, come al vostro belar si crederebbe.

CLAUDIO: Questa me la pagate, ora dobbiamo saldare altri conti.



(Rientra ANTONIO con le Signore mascherate)


Qual è la signora che debbo prendere io?

ANTONIO: Questa, ed io ve la do.

CLAUDIO: Ecco, allora è mia; diletta, lasciatevi veder il viso.

LIONATO: No, questo no, finché non prenderete la sua mano davanti a questo sacerdote e non giurerete di sposarla.

CLAUDIO: Datemi la vostra mano davanti a questo santo frate: se vi piaccio, sono vostro marito.

ERO: E io, da viva ero la vostra altra moglie: (si smaschera) e voi, quando mi amavate, eravate il mio altro marito, CLAUDIO: Un'altra Ero!

ERO: Niente di più certo. Un'Ero è morta calunniata, ma io sono viva, e, com'è vero ch'io vivo, sono vergine.

DON PEDRO: La prima Ero! Quella che è morta!

LIONATO: Morì, mio signore, ma solo per quanto visse la sua calunnia.

FRATE: Questo enigma potrò sciogliervelo io appena saranno finiti i sacri riti, e allora vi racconterò ampiamente della morte della bella Ero. Che per ora il miracolo ci sembri naturale, e andiamo intanto alla cappella.

BENEDETTO: Piano, padre: qual è Beatrice?

BEATRICE (smascherandosi): Io mi chiamo così. Che intenzioni avete?

BENEDETTO: Non mi amate?

BEATRICE: Non più di quanto la ragione comandi.

BENEDETTO: Diamine, allora vostro zio, il principe e Claudio sono stati ingannati: hanno giurato che mi amavate.

BEATRICE: Non mi amate voi?

BENEDETTO: No, in verità, non più di quanto la ragione comandi.

BEATRICE: Bene, allora mia cugina, Margherita e Orsola sono state ingannate: hanno giurato che mi amavate.

BENEDETTO: Hanno giurato che eravate mezza inferma per me.

BEATRICE: Hanno giurato che eravate mezzo morto per me.

BENEDETTO: Non vuol dire; mi volete bene o no?

BEATRICE: No, in verità, se non per contraccambio d'amicizia.

LIONATO: Su, nipote, io sono sicuro che lo amate questo signore.

CLAUDIO: E io sono pronto a giurare che costui l'ama, perché questo è un foglio di mano sua con un sonetto, zoppicante, tutto di sua testa in onore di Beatrice.

ERO: E questo è un altro, di mano di mia cugina, rubatole di tasca, che dice il suo amore per Benedetto.

BENEDETTO: Un miracolo! Le nostre mani contro i nostri cuori. Vieni, io ti sposerò, ma per la luce di Dio, lo faccio solo per pietà.

BEATRICE: Io non vi dirò di no, ma per questo chiaro giorno, cedo perché proprio ci sono indotta, e poi per salvarvi la vita, perché mi hanno detto che ci morivate tisico.

BENEDETTO: Basta, vi chiudo la bocca.


(La bacia)


DON PEDRO: Come ti senti, Benedetto, uomo ammoglialo?

BENEDETTO: Ti dirò, mio signore, un'accademia di begli spiriti non mi farebbe cambiare d'animo a forza di canzonarmi. Pensi proprio che mi curi di una satira o di un epigramma? No; se un uomo si lascia intimidire dalle facezie non si metterà indosso niente di bello. In breve, dal momento che ho deciso di sposarmi, non penserò nulla di nulla di quello che il mondo può dire in contrario; non mi burlate, quindi, per quello che ne ho detto contro io: perché l'uomo è un essere mutevole, questa è la mia conclusione. In quanto a te, Claudio, avevo deciso di dartene, ma visto che stai per divenire mio parente, vivi sano e vogli bene a mia cugina.

CLAUDIO: Io avevo sperato che tu avresti rifiutato Beatrice, per poterti fare uscire a bastonate dalla tua vita celibe e far di te un accoppiato, anzi un accoppato; ma a questo ci penserà mia cugina che ti dovrà tener gli occhi addosso.

BENEDETTO: Su, su, che siamo amici! Facciamoci un bel ballo prima di sposarci per alleggerire i nostri cuori e i tacchi delle nostre mogli.

LIONATO: Dopo lo faremo il ballo.

BENEDETTO: Prima, sul mio onore; su, musici, sonate. Principe, tu sei triste, prenditi moglie, prenditi moglie, ché non c'è bastone più bello di quello col Pomo di corno.



(Entra un Messaggero)


MESSO: Mio signore, vostro fratello Giovanni è stato preso mentre fuggiva e riportato a Messina da una scorta armata.

BENEDETTO: Fino a domani non ci pensare, ti troverò io una bella punizione per lui. Forza, pifferi!



(Escono danzando)
 
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